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...Fino a quando saremo capaci di entrare in un teatro, fino a che la scena ci permetterà di interrompere la nostra superficialità per fermarci stupiti di fronte all'attimo presente, potremo dirci ancora vivi.
"Vado a morire sulla scena" diceva giustamente Carmelo Bene.
Il Teatro porta in sè infatti una vocazione estrema, immolatoria come paradigma dell'attimo che si arroga la titolarità della vita intera.
Di momento in momento l'attore si fa vittima e sacerdote, causa ed esito inevitabile del fluire degli eventi che trovano spesso solo pallide testimonianze o velati simboli negli atti e nelle parole.
Tutto sulla scena avviene e si consuma senza lasciare traccia apparente, senza residualità materiali, senza prove.
Tutto si produce e si compie nell'eterna presenza dell'atto, mentre fuori, lentamente scorrono le generazioni e si consumano i secoli...

... l'attore ha il compito di raccogliere la "drammaturgia reale" che attraversa momento per momento il vivere quotidiano, deve avere in sè la capacità di com-prenderla e, sulla scena, attraverso l'atto della interpretazione, deve saperla ripresentare al pubblico purificata, chiarificata, accessibile dalle coscienze...

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"Sul palcoscenico ci sono uomini e donne veri, anche in platea ci sono uomini e donne veri. Tutto, del pubblico, influisce sulla rappresentazione: silenzio, inquietudine, paura, gioia, commozione. Nulla va perduto. Il teatro è per questo un evento sempre nuovo, irripetibile. Ecco le ragioni dell'indiscutibile superiorità del Teatro". (G.Strehler)



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