"Vorrei che la cosa fosse detta in modo efficace, elegante e con una certa raffinatezza." Moliere - Il Borghese Gentiluomo

RETORICA E RITUALITA' LAICHE

Questo spazio è dedicato alla "epistemiologia della comunicazione", alla esposizione di argomenti di retorica e di teoria della ritualità, all'approfondimento di temi e problemi legati alla comunicazione verbale e non verbale che riguarda i processi comunicativi e rituali.

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STUDI E TEMI DI RITUALITA'

(Questo spazio è un "cantiere aperto" dedicato ai temi della ritualità laica, vuole essere un'occasione per stimolare e rifettere su questa antica e nuovissima materia di studio che ogni giorno accresce la sua importanza ed attualità soprattutto considerando le nuove prospettive che si dischiudono nel campo della ritualità laica. I temi qui accennati hanno lo scopo di stimolare un dibattito che ci si augura possa svilupparsi in sedi ben più autorevoli di questa.)

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TEMI DI RITUALITA' :

A) Cos'è un rito?

1) Rito: una definizione impossibile?

2) Ritualità e cosmognia.

3) Evocare ed invocare, coinvolgere e sconvolgere.

4) Ritualità religiosa e ritualità laica.

5) Tentiamo una classificazione generale.

6) I segni rituali.

7) Symbolus et diabolus.

8) Il "continuum" del percorso rituale.

9) Cerimonia e rito.

10) L'elogio funebre.

11) Rito ed "elaborazione del lutto".

12) Il rito come "sistema".

13) L'officiante il rito: identità e formazione del "cerimoniere".

14) Catalizzazione e catarsi.

15) Il rito come luogo di normazione sociale.

 

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1) Rito: una definizione impossibile?

E' sempre difficile tracciare dei confini concettuali che delimitino (de-finiscano) una realtà. Se questa realtà è poi totalmente immateriale il compito diventa improbo (di peggio credo ci sia solo la de-finizione di in-finito). Se associamo al rito come "marcatore concettuale" il simbolo possiamo capire che tutta la realtà può essere compresa nello spazio del "rito" perchè tutta la realtà può essere interpretata come simbolo, basti pensare al "mito della caverna" di Platone, al fenomeno ed al noumeno di Kant.

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2) Ritualità e cosmogonia.

Come mirabilmente propugna M.Eliade, l'uomo ha da sempre manifestato l'esigenza di "ordinare" lo spazio in cui vive secondo criteri simbolici che attestino la presenza "sacra", cioè siano in qualche modo conformi ad una cosmogonia significante, comprensiva e complessiva dell'esistente. Questo perchè, ci insegna la psichiatria, solo un flusso ordinato di energia (affettiva e mentale) può condurre a quella "sufficienza esistenziale" che fonda non solo la salute mentale ma anche le condizioni migliori di pienezza di vita e le attese di felicità. L'esigenza rituale è quindi una esigenza primordiale e "ordinante" che (direbbe Freud) significa la realtà secondo criteri determinati, in ultima istanza, dal proprio inconscio, dalle determinazioni cioè della propria affettività profonda, fa cioè un pò quello che fanno i nostri sogni.

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3) Evocare ed invocare, coinvolgere e sconvolgere.

Ritengo che il rito sia fondamentalmente un atto di "inclusione", un'azione proattiva, tendente cioè a creare ordine (cosmogonia). E' essenziale a mio parere iniziare una riflessione sulla natura della ritualità dal significato del "chiamare fuori" (evocare) e del "chiamare dentro" (invocare), entrare in un ordine di cose o di esserne chiamati fuori al fine di essere integrati in un ordine superiore. Queste direzioni dinamiche rappresentano una visuale elettiva del significato di "passaggio" nel rito religioso ed in quello laico. Ecco che definisco il rito come: "Una procedura simbolica di evocazione ed invocazione che sconvolge una disunità critica per coinvolgere dinamicamente in una trasformazione inclusiva volta alla composizione dei distinti." - Questa definizione è da considerasi nella nostra ricerca, a mio parere, non solo un postulato ma piuttosto un assioma. Lo sconvolgimento della staticità, l'avvento di un disequilibrio è condizione propedeutica essenziale infatti di ogni movimento. Sta a noi indagare sulle ragioni del disequilibrio, sull'orientamento della direzione e sullo scopo del movimento da essi generato.

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4) Ritualità religiosa e ritualità laica.

La differenza saliente tra la ritualità religiosa e quella laica va cercata a mio parere proprio nella "direzione" del suo movimento simbolico. Nella ritualità religiosa prevale l'invocazione sulla evocazione e quindi la trascendenza sull'immanenza. Per contro, nella ritualità laica, prevale l'evocazione sull'invocazione e l'immanenza sulla trascendenza. Evocazione ed invocazione, trascendenza ed immanenza tuttavia compongono sempre, pur con prevalenze diverse, entrambe le ritualità (considerando come esistente anche una trascendenza non di natura spirituale ed una immanenza non compressa nella finitudine ma aperta alla trascendenza). Particolare interesse mi suscita lo studio delle valenze immanenti della ritualità religiosa e di quelle trascendenti di quella laica.

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5) Tentiamo una classificazione generale.

Si possono utilizzare a tale scopo molti criteri. Si può operare una divisione tra riti cultuali e non, tra riti religiosi e non, tra riti collettivi e non ecc... Io propongo una divisione di carattere più semantico. Proviamo quindi ad individuare sei grandi ambiti rituali:

A) I riti di espiazione e impetrazione. Sono quasi tutti i riti purificatori ed immolatori delle diverse religioni. Lo scopo rituale è quello di riappacificare gli uomini con la/le divinità (pax deorum) attraverso pratiche varie di privazione, offerta e supplica per calmarne la collera ed ottenere protezione (es. i riti sacrificali).

B) I riti di iniziazione. Sono quasi tutti i riti "di passaggio" ed hanno lo scopo di integrare una fase di vita in quella successiva (es. i riti nuziali, i riti di investitura).

C) I riti di terminazione. Sono anch'essi "riti di passaggio" che cercano di integrare i drammi delle interruzioni delle fasi vitali nel tessuto dei significati esistenziali cercando di trasformare le interruzioni in "compimenti" (es. i riti funebri, riti di separazione).

D) I riti di auto-identificazione. Sono i riti di appartenenza individuali e collettivi (es. i riti patriottici o familiari).

E) I riti di "confluenza". Sono i riti di appartenenza de-identificativa (es. i riti orgiastici).

F) I riti cultuali privati. Sono riti di devozione laica e privata (es. le forme di feticismo).

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6) Segni ed atti rituali.

Sinergia e complementarietà sono gli ambiti in cui si muove l'atto rituale. I segni rituali si configurano come "atti" quando vengono a comporre un percorso rituale. Come nella logica testuale il termine performativo, quando viene pronunciato alla prima persona singolare, realizza in sè ciò che esprime, così i segni diventano nel rito atti efficaci quando compongono la procedura rituale. Solo quando i segni diventano atti nella procedura rituale \infatti dispiegano il loro "potenziale rituale" che opera su più oggetti con più linguaggi, più modalità espressive ed effettuali.

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7) Symbolus et diabolus.

"Symbolus" deriva dal verbo greco "sumballo" che vuol dire "unire". Il contrario di "symbolus" è "diabolus". Come infatti l'atto "sim-bolico" ha come scopo quello di unificare, quello "dia-bolico" ha come scopo la divisione. Ogni simbologia è volta perciò alla unificazione degli opposti. Essendo il rito una procedura simbolica possiamo anche definirlo una procedura "di unificazione". La natura sacra del simbolo scaturisce proprio da questa sua intrinseca vocazione. Tutte le ritualità, religiose e laiche, infatti hanno come scopo la riunificazione. Riunificazione di che cosa? Uomo e Dio, trascendenza ed immanenza, morte e vita, materia e spirito. anima e corpo, terra e cielo, spazio e tempo, passato e presente, significante e significato, memoria ed oblio, finitudine ed eternità.

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8) Il "continuum" del percorso rituale.

Il percorso rituale non ammette discontinuità essendo una procedura simbolica "trasformativa". La "trasformazione" infatti, come mutamento graduale ed irreversibile di forma, non ammette interruzioni e cesure. Questo concetto di base ha conseguenze decisive nella "struttura" della cerimonia delle esequie.

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9) Cerimonia e Rito.

L'esigenza di utilizzare principalmente l'elemento lessicale come strumento di trasmisione del concetto ci porta a distinguere in modo forse un pò troppo grossolano la semantica dei termini ma non abbiamo scelta. Gli insiemi semantici delle parole "rito" e "cerimonia" occupano per larga parte gli stessi spazi concettuali ma tuttavia è necessario tentare una loro diversificazione a scopo meramente didattico. Occorre quindi confutare chi li utilizza come sinonimi e quindi le definizioni come: "Il rito è una cerimonia religiosa". La prima distinzione è che la "cerimonia" si pone fondamentalmente nell'ambito formale mentre il "rito" in quello sostanziale.

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10) L'elogio funebre.

Cercheremo di delineare il percorso che ha portato "l'elogio funebre" dalle sue origini militari al suo ruolo rituale e commemorativo.

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11) Rito ed "elaborazione del lutto".

Qui ci occupiano di "elaborazione del lutto" non nel suo versante meramente psicologico ma in quello rituale. Ritengo infatti che il compito del rito nel percorso elaborativo del lutto sia quello "simbolico" volto cioè a favorire una "riunificaizone", la "guarigione" interiore di una ferita metaforicamente sanguinante causata da una lacerazione non solo degli affetti ma anche dei loro significati esistenziali non del tutto espliciti. In particolare è interessante studiare quali siano le interazioni pratiche, le implicazioni effettuali che mettono in stretta relazione i due ambiti. Le domande essenziali a cui ritengo si debba rispondere sono queste: "Quali sono le cause, le modalità e gli effetti pratici che rendono consequenziale l'atto rituale e l'elaborazione psicologica del lutto?" - "Esiste una effettualità non psicologica dell'atto rituale? Come si può definire?" - Mi interessa cioè qui proporre una prospettiva di indagine rivolta alla ricerca degli effetti terapeutici della ritualità. Questa ricerca non può prescindere dall'analisi del rapporto che si instaura nel rito tra i tre grandi livelli di percezione: il reale, il simbolo e l'immaginario, quando per immaginario vogliamo indicare in questo ambito specifico i riflessi immaginari che provengono dal vissuto irrisolto sia consapevole che inconscio. L'evento luttuoso destruttura equilibri instabili, occorre individuare le vie che ci portino a comprendere come l'atto rituale può intervenire per tentare un riequilibrio o perlomeno una loro parziale stabilizzazione.

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Progetto: "IO RICORDO, IO SO" (10/4/10).

Ha lo scopo di favorire l'elaborazione del lutto e si configura di fatto come una "relazione di aiuto" senza però presentarsi come tale. Questo permette di evitare le difficoltà che rendono spesso poco efficaci i tradizionali approcci di "aiuto al lutto". E' noto infatti che in questo ambito chi ha veramente bisogno di aiuto non si trova spesso nelle condizioni psicologiche adeguate per potersi attivare e chiederlo esplicitamente. L'esigenza di "condividere" frammenti della propria memoria può risultare invece un utile "carrier" della esigenza più profonda di elaborazione del dolore. Il lavoro opera quindi sui "materiali di memoria" (testi, racconti, oggetti) e cerca di implementarli drammaturgicamente in una narrazione. La narrazione si dimostra il vero luogo terapeutico che permette, attraverso la condivisione della rivivescenza del vissuto, una sua più rapida integrazione affettiva. Il pretesto è la drammaturgia mentre lo scopo risulta l'elaborazione del lutto.

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12) Il rito come "sistema".

Credo che l'unico approccio possibile allo studio della realtà del rito sia quello "sistemico". Quell'approccio cioè che utilizza come metodo quello che si è sviluppato nel secolo passato col nome di "Teoria dei sistemi". Un approccio "meccanicistico" (del secolo XVIII), che individua nell'analisi la via della conoscenza, si rivela infatti del tutto inadeguato in un ambito così interdisciplinare e complesso. La ricerca di una "sistemica della ritualità" che permetta di conoscere in modo interdisciplinare e "disanalitico" le relazioni complesse tra gli elementi in gioco è senz'altro la via maestra per uno studio efficace e propositivo. Ecco la sfida che mi propongo: cercare di individuare modelli interpretativi del "sistema rito" adeguati al mio scopo. Proviamo a porre quindi al centro del nostro esame la semplice domanda: "Cos'è un rito?" - Avviciniamoci poi ad essa attraverso quattro direzioni diverse e nell'ambito di ogni direzione adottiamo un modello interpretativo formato da quattro elementi uniti (a croce) in relazione biunivoca da due linee perpendicolari. La prima direzione sarà costituita da un approccio filosofico-teologico, la seconda da uno psicoanalitico, la terza da uno logico-cibernetico, l'ultima da uno retorico. Un approccio filosofico-teologico alla ritualità non risulta impresa disperata solo se riusciremo ad individuare con estrema avvedutezza gli elementi del nostro "chiasmo" interpretativo: io individuale - io collettivo e materia - spirito. L'approccio psicoanalitico relazionerà a mio avviso su: reale - immaginario e inconscio - simbolo. Nell'ambito logico-cibernetico ci occorrerà invece scomodare Norbert Wiener ed i principi della sua "macchina" perchè cibernetica è ritualità si possono davvero per la prima volta incontrare e relazionare (il cerimoniere non è forse un "kubernetès", un timoniere del rito?). Occorrerà immaginare allora una "macchina di Wiener" utile ai nostri scopi, capace cioè non solo di controllo e comunicazione ma anche di sintesi e "trasformazione". Nell'approccio retorico invece farei appello fondamentalmente alla teoria del "logoi contrapposti": vita - morte e realtà - apparenza.

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13) L'officiante il rito: identità e formazione del "cerimoniere".

E' particolarmente vivo il dibattito che sociologi, antropologi, storici e teologi svolgono sul significato del ruolo dell'officiante il rito e in particolare, in ambito religioso, del "ruolo sacerdotale". Semplificando possiamo riconoscere due correnti "storiche" di giudizio.

a) La prima corrente di pensiero fonda le sue radici negli archetipi antropologici che da sempre sostengono le religioni e le strutture culturali simboliche di tutte le antiche società. Per questa corrente di pensiero l'officiante il rito riveste un ruolo non solo importante ma "sacrum" (cioè "distinto" dagl'altri) in quanto funge da catalizzatore delle attese e delle tensioni interne al gruppo sociale e di mediatore tra esse ed "il divino". Il suo ruolo è giudicato non solo positivo ma essenziale in quanto attore di elaborazione di angoscie collettive ed espiazione di comuni sensi di colpa. In questo caso possiamo considerare l'officiante, il sacerdote, "a servizio del rito" ed il rito come risposta adeguata alle richieste di significato che muovono le dinamiche individuali e collettive.

b) La seconda corrente di pensiero muove i primi passi nella rivoluzione illuminista del'700. Questa corrente di pensiero prende in esame soprattutto il ruolo sacerdotale e ne dà un giudizio negativo in quanto non ritiene il sacerdote "a servizio del rito" ma piuttosto ritiene il rito a servizio del sacerdote come proprio strumento di potere e autolegittimazione.

c) Questo fenomeno degenerativo dei processi religiosi che possiamo chiamare "ritualismo di ruolo" è presente in tutte le tradizioni. Tanto più il fenomeno religioso è "iniziale", puro, espressione di una autentica spiritualità, tanto meno è occupato dal "ritualismo". Tanto più invece la "storia religiosa" si allontana dalla freschezza ed autenticità delle sue ragioni di origine e dei suoi fondatori tanto più la "fede" si trasforma in "culto" e la ritualizzazione conseguente si sedimenta e sclerotizza ricoprendo e mortificando la originale spiritualità. Questo tipo di considerazione ci può aiutare in qualche modo a "misurare" sociologicamente l'età antropologica, l'emi-vita spirituale di una religione.

d) La riflessione che ritengo assolutamente urgente tenendo conto di queste prospettive deve muovere verso una definizione "laica" e matura dell'officiante il rito, di "cerimoniere laico", immune dai pericoli insiti al ruolo, cercando di descriverlo ed interpretarlo in modo antropologicamente fondato, ma sempre libero, aperto e culturalmente dialogico.

e) Il "cerimoniere laico" è un professionista della comunicazione cioè un operaio della parola e del gesto, se il rito è un "sistema" il cerimoniere è il suo "driver". Da sempre ritengo che la preparazione remota del cerimoniere non possa prescindere da una solida formazione teatrale. L'atto rituale collettivo infatti è sempre un "atto scenico". Il cerimoniere deve essere l'interprete e la guida di un'azione multiforme e complessa che coinvolge ogni livello emotivo e razionale. La formazione teatrale tuttavia è condizione necessaria ma non sufficiente. La qualità prima ed essenziale è infatti la "presenza scenica", "the star-quality", la capacità di catalizzare nella propria persona le energie collettive. E' la qualità che distingue il fine "dicitore" dal vero attore, il pedestre esecutore di un "cerimoniale" dall'officiante il rito. E' una qualità che non si apprende nelle scuole di teatro ma soltanto si affina (quando c'è). I canali della comunicazione rituale sono quelli stessi del teatro: tempo, spazio, movimento, parola, musica. La preparazione del cerimoniere deve quindi fondarsi su tre assi fondamentali: 1) preparazione culturale (letteratura, musica, antropologia, filosofia, teologia comparata); 2) preparazione interpretativa (coreografia, dizione, lettura interpretativa, interpretazione); 3) preparazione relazionale (psicologia, sociologia). Il candidato ideale deve quindi, a mio avviso, possedere una cultura umanistica (maturità classica, musicale, coreutica) ed aver conseguito un diploma teatrale autorevole (al termine di un corso almeno biennale). Dati questi presupposti, la sua preparazione, a mio parere, può completarsi con un master specifico, per esempio quello formato dai miei due corsi: "Metharmosis" e "Antigone" (vedi pagina: corsi).

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14) Catalizzazione e catarsi.

Il cerimoniere laico (a differenza di quello religioso) officia il rito essendo libero da qualsiasi compito di "mediazione". Il suo compito infatti non è quello di mediare ma quello di "catalizzare" le energie. Prendo un esempio semplice dalla scienza biologica nutrizionale. Le vitamine sono componenti essenziali del metabolismo, senza di esse l'organismo morirebbe. Esse tuttavia non forniscono alcun elemento nutritivo nè forniscono energia. Il loro essenziale compito è quello di "catalizzare" le reazioni metaboliche, cioè "unire gli elementi" e farli combinare per far procedere la sintesi di nuovi elementi più utili dei primi. Il cerimoniere laico ha questo compito: estrarre e far combinare le energie al fine di favorire l'elaborazione del lutto. Il luogo in cui questo avviene non è evidentemente biochimico ma emotivo e culturale. Il risultato dell'azione rituale (che non si limita al rito) è la "catarsi" cioè la trasformazione degli elementi caotici e disordinati (miasma) in un nuovo ordine. Per comprendere e fare questo è essenziale tenere conto di tre fondamentali contributi culturali: 1) il "metodo catartico" di S.Freud e J.Breuer; 2) lo "psicodramma" di Levi Moreno; 3) il metodo: "Il sapere dei sentimenti" di R.Landy J. Il compito rituale è quindi, in questo ambito, quello di "estrarre" e "combinare" in una sintesi armonica ciò che lasciato così com'è è soltanto fonte di tensione, angoscia e potenziale disperazione.

"Dobbiamo affermare che il dolore psichico agisce negativamente sull'organismo come un corpo estraneo" (S.Freud e J.Breuer - Studi sull'isteria- 1895).

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15) Il rito come luogo di normazione sociale.

(in preparazione)

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Indirizzi utili:

www.accademiadellacrusca.it

www.fondazionefabretti.it

www.socremtorino.it

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Libri utili:

Retorica -

Giulio C. Lepschy - La linguistica del novecento - Il Mulino - 1992

Lubomir Dolezel - Poetica occidentale - Einaudi - 1990

B.Mortara Garavelli - Manuale di retorica - Bompiani - 2003

Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica - diretto da G.L.Beccaria - Einaudi - 2004

Ritualità -

M.Eliade - Il Sacro e il Profano - Boringhieri - 2009

Antropologia del Rito - a cura di P.Scarduelli - Boringhieri - 2000

A. Van Gennep - I Riti di Passaggio - Boringhieri - 1981

L.Von Bertalanffy - Teoria generale dei sistemi - Mondadori - 1969

G.Mounin - Introduzione alla Semiologia - Ubaldini - 1972

S.Freud - Totem e tabù - Newton - 2011

S.Freud e J.Breuer - Studi sull'isteria - 1895

J.P.Vernant - L'universo, gli dei, gli uomini - Einaudi - 2001

J.L.Moreno - Psicodramma e vita - Rizzoli - 1973

Victor Turner - Il Processo rituale - Morcelliana - 2001

L. Coupe - Il Mito - Donzelli - 2005

Ritualità delle esequie -

Carlo Giraudo - La ritualità - Progetto Caronte - 2003

Il rito del commiato - a cura della Fondazione Fabretti - 2004

Marina Sozzi - Virtuoso e felice - ETS - 2002

Marina Sozzi, Vita Fortunati, Paola Spinozzi - Perfezione e finitudine - Lindau - 2004

Marina Sozzi - Reinventare la morte, introduzione alla tanatologia - Laterza - 2009

Martine Segalen - Riti e rituali contemporanei - Il Mulino - 1998

Antonino Musumeci - La borghesia tra le muse e la morte - Rivista di Studi Italiani

Douglas J. Davies - Morte, riti, credenze - Paravia

Marco Novarino, Luca Prestia - Una battaglia laica - Fond.Fabretti - 2006

Marco Novarino - L'addio laico - Fond.Fabretti - 2006

Nicola Ferrari, Maria Angela Gelati - Scritture per un addio - Il Ponte Vecchio - 2008

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